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PALESTRE: DENUNCIA ALL’ANTITRUST PER I RIMBORSI

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L’atteggiamento delle palestre (non tutte, ma una buona parte, a cominciare da alcuni network molto conosciuti e diffusi su tutto il territorio) è inaccettabile: continuano a raccontare favole ai clienti ignorando (o interpretando a loro piacimento) le regole stabilite dal Decreto Rilancio. Per questo (come riportato in anteprima in questo articolo del Sole24ore), abbiamo presentato un ampio dossier all’Autorità Antitrust perché accerti le eventuali responsabilità delle palestre. Ecco l’elenco dei brand oggetto della nostra indagine:

 

  • For Me Fitness Club
  • Imperial Fitness Club
  • Mcfit Italia S.r.l.
  • Pegaso Fitness
  • Sportsman Club
  • Virgin Active

In alcuni casi, abbiamo registrato la testimonianza di veri e propri atteggiamenti vessatori da parte degli operatori che si fanno forti del fatto di aver incassato le quote per gli abbonamenti anche durante i mesi del lockdown: agli sportelli dell’Unione Nazionale Consumatori, notiamo un vero e proprio picco di segnalazioni e reclami che investe il mondo di palestre, centri fitness e centri sportivi: gli operatori, non appena hanno ricevuto il via libera del Governo, stanno cercando di salvare il salvabile, ma a farne le spese sono i consumatori!

Tra l’altro in questi mesi alcune associazioni di categoria del mondo wellness ci avevano proposto di istituire tavoli di lavoro per risolvere i contenziosi, ma poi alla riapertura sono spariti nel nulla… Forse preferiscono gestire i casi singolarmente, sperando che il consumatore creda al fatto che non si possono avere rimborsi o che i voucher siano condizionati al rinnovo dell’abbonamento.

Proprio questa sembra essere l’accusa più grave mossa dai clienti delle palestre: come è noto, l’art. 216, comma 4 del Decreto Rilancio prevede quanto segue: “a seguito della sospensione delle attività sportive (…), ricorre la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta in relazione ai contratti di abbonamento per l’accesso ai servizi offerti da palestre, piscine e impianti sportivi di ogni tipo, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1463 del codice civile. I soggetti acquirenti possono presentare, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, istanza di rimborso del corrispettivo già versato per tali periodi di sospensione dell’attività sportiva, allegando il relativo titolo di acquisto o la prova del versamento effettuato. Il gestore dell’impianto sportivo, entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza di cui al periodo precedente, in alternativa al rimborso del corrispettivo, può rilasciare un voucher di pari valore incondizionatamente utilizzabile presso la stessa struttura entro un anno dalla cessazione delle predette misure di sospensione dell’attività sportiva.

Ed invece, a giudicare dai reclami che abbiamo allegato nel dossier presentato all’Antitrust, le pratiche commerciali adottate da molte delle citate palestre, sembrano configurare delle palesi violazioni di quanto disposto dal Decreto Rilancio, con conseguente danno per i clienti abbonati, i quali stanno subendo una evidente riduzione della tutela dei loro diritti: si osservi, infatti, che le pratiche segnalate rischierebbero di frustrare la tutela prevista dall’art. 216, comma 4, in quanto alcuni club non riconoscono alcun voucher, ma (dopo aver “congelato” l’abbonamento durante la chiusura) hanno cominciato a farlo riprendere già dai giorni di riapertura, pur senza un esplicito consenso del consumatore che, invece, avrebbe diritto ad un voucher da attivare (secondo il suo interesse) nell’arco di un anno, come previsto dalla normativa.

Il legislatore dell’emergenza, inoltre, esplicita che il voucher dev’essere “incondizionatamente utilizzabile”: è del tutto evidente che concedere al consumatore l’utilizzo del voucher in un periodo determinato oppure (come molti operatori stanno facendo) condizionarne la spendibilità all’attivazione di un nuovo abbonamento, più lungo e oneroso del “buono” in possesso del cliente, rappresenta una pratica, a nostro avviso, scorretta.

A ciò si aggiunga che i consumatori ci segnalano la radicale difformità dei servizi rispetto a quelli originariamente acquistati: dalle palestre che impongono al cliente di trattenersi al massimo 90 minuti all’interno dei club a quelle che hanno dovuto chiudere piscine, saune e altri servizi accessori che facevano la differenza agli occhi dei consumatori.

Ebbene, pur in presenza di tali difformità, la maggior parte delle palestre rifiutano il legittimo diritto del consumatore di recedere dal contratto di abbonamento per la parte residua: ricordiamo, infatti, che un ulteriore elemento di squilibrio a danno del consumatore deriva dal fatto che l’operatore (tanto che conceda il voucher per i periodi utilizzati, tanto che lo neghi) pretende che il consumatore prosegua nella fruizione (nel pagamento) dei mesi mancanti allo spirare del suo abbonamento. Cosa che il consumatore potrebbe non essere interessato a fare tanto per ragioni di tutela della propria salute, tanto per l’appariscente riduzione dei servizi offerti dal club. Ed invece, nessun operatore consente al consumatore di considerare le mutate condizioni di fruizione del servizio come giusta causa di recesso.

Ed allora, come gestire a questo punto i complicati rapporti con la palestra? Il primo consiglio è quello di formulare per iscritto (via email o pec) una richiesta di voucher per i giorni non goduti durante il lockdown. A questa si può aggiungere (qualora non si sia interessati a frequentare il club già in questi giorni di ria pertura)), una richiesta di recesso dal contratto giustificato dalle mutate condizioni contrattuali.

Se volete inviarci anche voi la vostra segnalazione su palestre, centri fitness o centri sportivi potete farlo attraverso i nostri sportelli.

Autore: Massimiliano Dona