Medico, devi scrivere bene quando prescrivi i farmaci. Perché se scrivi 1,0 mg qualcuno potrebbe non leggere la virgola e il medicinale assunto diventa di 10 mg. Se la prescrizione viene scritta a mano, va usato lo stampatello. Il principio attivo del farmaco va scritto per intero, perché se si mette in sigla, si potrebbe confondere con farmaci dal nome simile. A mettere nero su bianco la necessità che le prescrizioni dei farmaci siano scritte bene è la Raccomandazione 18 del Ministero della Salute.
Il primo “articolo” della Raccomandazione recita: “L’uso di abbreviazioni, acronimi, sigle e simboli, sebbene sia una prassi consolidata durante le fasi di gestione del farmaco in ospedale e sul territorio, può indurre in errore e causare danni ai pazienti”.
Il problema dunque è chiaro: se si prescrivono farmaci e si scrive in modo non comprensibile, se si usano abbreviazioni, sigle, simboli non standardizzati, si rischia l’errore medico e farmacologico. Scrivere, ad esempio, il nome del principio attivo abbreviato invece che per esteso può portare a scambiare farmaco. Scrivere in modo ambiguo la posologia può causare errori nell’assunzione. Da qui la mossa del Ministero della Salute che, per migliorare la sicurezza dei pazienti, ha emanato la “Raccomandazione per la prevenzione degli errori in terapia conseguenti all’uso di abbreviazioni, acronomi, sigle e simboli” che fornisce una serie di indicazioni per promuovere l’uso di un linguaggio comune fra medici, farmacisti e infermieri. La Raccomandazione è rivolta agli operatori sanitari coinvolti nel processo di cura del paziente e nella gestione dei farmaci oltre che a Regioni e Province Autonome e alle Direzioni aziendali.
La prima necessità è quella di capirsi e capire cosa si sta prescrivendo. “Risulta fondamentale, al fine di prevenire gli errori in terapia, che medici, farmacisti e infermieri adottino un linguaggio comune e possano ricorrere ad abbreviazioni, acronimi, sigle e simboli “standardizzati”, si legge nel documento. Gli esempi riportati sono emblematici. Una brutta grafia, ad esempio, può rendere difficile la comprensione di una prescrizione e causare errori nella dispensazione e nella somministrazione di una terapia farmacologica. “In caso di scrittura a mano è necessario usare lo stampatello”, si specifica nella raccomandazione.
Fra le indicazioni riportate dal Ministero, c’è ad esempio quella di scrivere il principio attivo del farmaco per esteso, perché alcune abbreviazioni possono essere collegate a farmaci con nomi simili, e di evitare le sigle. Bisogna lasciare uno spazio fra il nome del farmaco e il dosaggio, perché se ad esempio il nome del medicinale finisce per “l”, questo nella scrittura potrebbe essere confuso con un numero e quindi un dosaggio di 40 ml potrebbe diventare di 140 ml.
E così bisogna lasciare uno spazio fra il dosaggio e l’unità di misura (scrivere 10 mg e non 10mg); usare i numeri arabi e non quelli romani; non mettere lo zero terminale dopo la virgola per le dosi espresse da numeri interi (ad esempio, scrivere 1 mg invece che 1,0 mg in quanto potrebbe essere confuso con 10 mg); al contrario, scrivere 0,5 g invece di ,5 g che può essere erroneamente interpretato come 5 g se non viene letta la virgola. Ancora: usare il punto per separare i tre zeri delle migliaia (1.000) e specificare chiaramente la posologia evitando indicazioni generiche come “un cucchiaino”, “un misurino”.
Bisogna poi precisare bene quando va assunto il farmaco: se si tratta di un antibiotico non si può scrivere due volte al giorno, ma bisogna specificare ogni 12 ore. È necessario evitare l’uso delle frazioni, perché se si scrive ½ compressa ovvero “metà compressa” può essere frainteso con 1 o 2 compresse. L’errore insomma è dietro l’angolo e le conseguenze potrebbero essere drammatiche.
@sabrybergamini