di Valeria Zeppilli
I pazienti danneggiati dalla condotta del proprio medico di base possono agire per ottenere il risarcimento non solo verso lo stesso sanitario, ma anche nei confronti dell’ASL di appartenenza.
La conclusione, che fino a qualche tempo fa era in realtà dibattuta, ha avuto una sua definitiva consacrazione con la legge Gelli.
L’articolo 7 della legge Gelli
L’articolo 7, comma 1, della legge numero 24/2017, infatti, sancisce a chiare lettere che “La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose”. Interessante anche il comma 2, ove si legge che “La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina”.
In buona sostanza, in rispetto del principio della responsabilità di posizione, la struttura sanitaria è chiamata a rispondere contrattualmente di tutto ciò che avviene all’interno del proprio ambito di competenza e, quindi, anche dell’operato dei soggetti dei quali si avvale, poco importa che siano stati scelti dal paziente.
La Cassazione sull’errore del medico di base
La legge Gelli, in realtà, non ha fatto altro che recepire una conclusione alla quale era già giunta la Corte di cassazione nella sentenza numero 6243/2015, ponendosi in controtendenza rispetto all’orientamento all’epoca maggioritario.
Nel caso di specie, proprio sposando tale orientamento, il giudice di merito aveva escluso la responsabilità della Asl per l’operato del medico di base ritenendo che gli obblighi del Servizio Sanitario Nazionale non si estendessero sino a ricomprendere la prestazione professionale di tale sanitario ma solo l’organizzazione della medicina generale e che non si potesse applicare il cd. contatto sociale.
Per la Cassazione però non può non considerarsi che, a un’attenta lettura, la legge numero 833/1978 istitutiva del SSN, nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione, mira a garantire i livelli minimi e uniformi delle prestazioni sanitarie da assicurare ai cittadini anche inserendo l’assistenza medico-generica tra le prestazioni curative affidate alle Asl. In forza delle disposizioni di tale legge, le Asl erogano l’assistenza medico-generica sia in forma domiciliare che in forma ambulatoriale assicurando i livelli di prestazioni fissati dal piano sanitario nazionale. Il paziente, nel scegliere il proprio medico di famiglia, agisce dunque nei confronti della Asl e opera un’azione destinata a produrre i suoi effetti nei confronti del SSN e non nei confronti del medico prescelto.
Sulla base di tali osservazioni, ampiamente argomentate, la Cassazione era quindi giunta già nel 2015 alla conclusione poi resta incontrovertibile dalla legge Gelli: degli errori del medico di famiglia risponde anche la struttura sanitaria.
A che titolo rispondono i medici di base?
Ancora oggi resta però un dubbio: a che titolo rispondono i medici di base?
Ferma la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, l’impostazione della legge Gelli fa propendere per la responsabilità extracontrattuale del medico di base, così come quella degli altri medici che non agiscono nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta direttamente con il paziente.
Non mancano, tuttavia, interpreti che, facendo leva sulla vocazione libero professionale dell’attività concretamente svolta dai medici di famiglia, ritengono che gli stessi siano invece chiamati rispondere a titolo contrattuale.