Home Sicurezza alimentare PROSCIUTTOPOLI: PER ANNI I CONSUMATORI NON HANNO COMPRATO VERO PROSCIUTTO DOP

PROSCIUTTOPOLI: PER ANNI I CONSUMATORI NON HANNO COMPRATO VERO PROSCIUTTO DOP

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Convinti di comprare prosciutti di Parma e San Daniele che invece non erano affatto Dop, perché prodotti con animali non consentiti dai disciplinari. Questo quanto accaduto per anni ai consumatori italiani, che hanno pagato come “eccellenze alimentari” prodotti che non lo erano, perché derivanti da suini non in regola – nel dettaglio, si trattava di cosce di verro Duroc danese, razza geneticamente differente da quella del suino italiano. Un’articolata inchiesta sul caso “Prosciuttopoli”, che sta mettendo in imbarazzo consorzi e organismi di controllo, è stata lanciata dal Fatto Alimentare che ha ripercorso per intero le tappe della vicenda.

Spiega il direttore del Fatto Alimentare Roberto La Pira: “La produzione di prosciutto di Parma e San Daniele, dopo le indagini avviate un anno fa, sta attraversando una crisi pesante. La causa è da ricercare nella vendita di cosce provenienti da maiali nati con il seme di Duroc danese, una razza diversa da quelle previste dai consorzi .La questione è molto seria, visto che la procura di Torino ha sequestrato 14 mesi fa, in 140 aziende, oltre 300 mila cosce di maiale ( 220 mila destinate al prosciutto di Parma le altre al San Daniele) per un valore al consumo di circa 90 milioni di euro, pari a circa il 10 % della produzione nazionale.”

“In questi anni centinaia di migliaia di prosciutti di Parma e di San Daniele taroccati sono stati venduti a caro prezzo ai consumatori ignari della frode”, denuncia l’inchiesta. Si fa riferimento all’attività della Procura di Torino, che nel corso di una lunga indagine ha portato al sequestro di 300 mila cosce di prosciutto di Parma e San Daniele “smarchiate” da Dop e a indagini su 140 allevamenti di suini: l’accusa è quella di frode in commercio per aver usato tipi genetici non ammessi dai disciplinari dei consorzi. Secondo gli inquirenti, il caso sarebbe andato avanti dal 2014 per qualche anno e sarebbe ora concluso, o in via di esaurimento. Un dato certo è che tutto questo ha portato al commissariamento per sei mesi, dal primo maggio di quest’anno, dei due istituti di certificazione che controllano il rispetto dei disciplinari (Istituto Parma Qualità e Ifcq Certificazioni) da parte dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf) del Ministero delle politiche agricole. Un altro elemento, spiega ancora il Fatto Alimentare, è la difficile posizione dei Consorzi. Il Consorzio del prosciutto di Parma di fronte allo scandalo ha dichiarato, riporta il sito, che  “nessuna coscia dei maiali provenienti dagli allevamenti coinvolti è diventata né diventerà Prosciutto di Parma ed eventuali cosce in stagionatura sono state facilmente identificate e, se del caso, distolte dal circuito”.

Nessun problema per la salute dei consumatori – alcune cosce sarebbero tornate sul mercato come semplice “prosciutti” non più Dop – ma di certo un fatto che intacca il prestigio delle eccellenze alimentari. Spiega ancora La Pira: “È vero che trattandosi di una frode commerciale non ci sono problemi per la salute dei consumatori, ma è altrettanto vero che lo scandalo è gravissimo dal momento che stiamo parlando delle eccellenze alimentari italiane. Sapere che le fettine di Parma e di San Daniele, vendute in busta nei supermercati a un prezzo variabile da 37 sino a 58 €/kg, provengono da razze non ammesse che non garantiscono un prodotto di qualità è molto imbarazzante”.