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ORTOFRUTTA: PER I CONSUMATORI È “SOS GUSTO”

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I pomodori non sanno di nulla. Le fragole sono insipide.  Albicocche e meloni si possono mangiare solo se li porta la vicina dal piccolo orto in campagna, altrimenti difettano in sapore. I commenti da consumatori alle prese con gli acquisti al mercato sembrano confermati dalle ricerche specializzate: è sos gusto per frutta e verdura. Gli italiani sono sempre più insoddisfatti del sapore dell’ortofrutta. Più o meno su tre dichiara che questo è peggiorato. Nel dettaglio: il sapore dei pomodori è peggiorato per il 56% dei consumatori, quello delle fragole per il 54% e poi ancora albicocche (36%), ciliegie (32%) e meloni (29%).

A dirlo è un’analisi dell’Osservatorio Ortofrutta di Ismea-Agroter che sarà presentato a Rimini il prossimo 8 maggio alla vigilia di Macfrut, fiera di riferimento per il settore ortofrutticolo, nell’ambito dell’evento “Think Fresh – Il valore al centro”.

I consumi di ortofrutta in Italia languono e i consumatori non sono soddisfatti dell’evoluzione del gusto di frutta e verdura, evidenzia lo studio, che parte da una situazione di consumi fermi al palo. Il primo trimestre 2018 registra consumi stabili sul fronte dei volumi di ortofrutta fresca (incluso IV gamma e frutta a guscio), ma come testimoniano i dati dell’Osservatorio, in Italia si continua a perdere valore: nei primi tre mesi dell’anno la flessione è del 2,5% rispetto all’analogo periodo dello scorso anno, a fronte di un +0,7% dei quantitativi venduti.

 “I consumi sono fermi al palo e l’ortofrutta italiana perde ancora valore – commenta Roberto Della Casa, docente di marketing all’Università di Bologna e fondatore di Agroter, società specializzata nella ricerca sul marketing strategico dei prodotti freschi e freschissimi – Se il gennaio nero di quest’anno (-2,8% a volume e -3,1% a valore) poteva trovare una giustificazione dal paragone con i dati di gennaio 2017, quando per le gelate i prezzi dei prodotti ortofrutticoli erano schizzati in alto, i trend negativi di febbraio e marzo portano a credere che sia assolutamente necessario intervenire per aumentare il valore percepito dell’ortofrutta. Oramai gli unici incrementi nei consumi si notano nei mesi estivi, quindi per effetto dell’andamento climatico, senza nessuna componente strutturale: per aumentare i consumi di frutta e verdura bisogna lavorare sul valore, per questo abbiamo dedicato Think Fresh a questo aspetto cruciale per il futuro dell’ortofrutta italiana: bisogna rimettere il valore al centro delle strategie”.

Analizzando le abitudini di acquisto e consumo per l’ortofrutta, emerge un deficit di gusto percepito da parte dei consumatori. Agroter, in partnership con Toluna, ha analizzato i comportamenti di 3.000 responsabili acquisto rappresentativi delle famiglie italiane. “Il responso è lapidario – anticipa i risultati della ricerca Della Casa – se chiediamo agli italiani di esprimersi sull’evoluzione del gusto di vari prodotti alimentari vediamo che per articoli molto in voga in questo momento, come gelato artigianale, vino, birra e cioccolato, un’importante quota di consumatori pensa che le loro caratteristiche qualitative siano migliorate. Cosa che non succede per l’ortofrutta”. Il 33% degli italiani dà infatti giudizi negativi e segnala “gusto peggiorato” o “decisamente peggiorato” sulla frutta fresca e il 27% sulla verdura fresca. I prodotti più “bocciati” sono pomodori, fragole, albicocche, ciliegie e meloni.

“Freschezza e gusto sono i due driver principali per guidare i consumi di ortofrutta – prosegue il fondatore di Agroter – C’è una quota sensibile di italiani che dichiara come i prodotti, una volta acquistati, a casa non si conservino nemmeno per il tempo utile a consumarli; ma la freschezza è ormai considerata un prerequisito per buona parte degli alimenti. La nuova chiave di lettura è la soddisfazione gustativa e i dati che emergono per frutta e verdura non sono confortanti. La ricetta? Un ripensamento complessivo della filiera volto a conferire caratteristiche qualitative adeguate e continuative ai prodotti ortofrutticoli. Un percorso che deve partire dalla genetica, passando alla qualificazione del lavoro nei campi e all’impiego di tecnologie che permettono di selezionare frutti con adeguati standard, fino – conclude Roberto Della Casa – alla valorizzazione di questi prodotti nel punto vendita, attribuendogli un nome, una marca riconoscibile dal consumatore, che sia sinonimo di garanzia”.