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NESSUN TEST SUL FETO: RISARCITA LA NASCITA DI UNA BIMBA DOWN

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Evidenti le colpe del ginecologo, soprattutto tenendo presente che la donna aveva espresso implicitamente l’intenzione di abortire in caso di patologie gravi per il nascituro.

Il caso. Lei, incinta, ha chiesto più e più volte di effettuare test clinici sul nascituro, ma il suo ginecologo si è opposto, sconsigliando ogni pratica invasiva sul feto.

 

Mesi dopo, però, la donna ha partorito una bambina affetta dalla sindrome di Down. E ora i giudici del Palazzaccio ritengono legittima la sua azione legale, finalizzata ad ottenere un adeguato risarcimento per la nascita indesiderata e a vedere riconosciute le colpe del medico, soprattutto per avere negato alla sua paziente la possibilità di valutare l’ipotesi dell’aborto (Cassazione, sentenza numero 19151, sezione terza civile, depositata il 19 luglio 2018).

Il danno. La triste vicenda approda in Tribunale nel lontano 1999. A quasi vent’anni di distanza, la donna vede ritenute legittime anche in Cassazione le contestazioni mosse al ginecologo che l’ha seguita durante la gravidanza. Resta solo da definire nei dettagli l’onere risarcitorio a carico del medico e della struttura sanitaria.

Per quanto concerne le colpe del ginecologo, i giudici del Palazzaccio, come già quelli del Tribunale e della Corte d’appello, non mostrano dubbi. Inequivocabile l’operato del medico che ha ignorato «le insistenti richieste della donna, sintomatiche dell’intento di abortire se fosse stata riscontrata una grave anomalia nel feto», e si è così reso responsabile per il «danno morale, biologico e patrimoniale» subito dalla donna e causato «dalla nascita non desiderata».

Altro nodo da sciogliere è quello relativo al risarcimento da riconoscere alla donna.

Su questo fronte i giudici della Cassazione respingono l’ipotesi di un ampliamento del cosiddetto «danno esistenziale» lamentato dalla donna. Viene invece ritenuto necessario, contrariamente a quanto deciso in appello, un approfondimento sul cosiddetto «danno psichico». Ciò perché «la donna è risultata menomata nella sua sfera psichica» proprio a causa dell’operato del medico, e «tale lesione non le ha permesso di rielaborare psicologicamente il fallimento dato da una nascita indesiderata, di reggere la lunghezza e la complessità di un accertamento giudiziale di un evento lesivo interferente nella sua vita personale di donna, moglie e madre, e di sopportare il peso di una vita sociale compressa e dedicata esclusivamente a una figlia diversamente abile che non sarà mai in grado di diventare autonoma».