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IL CARO BOLLETTE DEL SERVIZIO IDRICO ANCORA CON CRITERI PRESUNTIVI: UNC ANNUNCIA RICORSI E DENUNCE

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Si rinnova per l’ennesima volta il triste fenomeno delle cartelle “pazze”, per le fatture relative al servizio idrico integrato, rapportate a consumi presuntivi e non reali, con richieste di pagamento stratosferiche (a volte anche euro 1.300,00 per un solo componente familiare).

Negli ultimi cinque anni non è cambiato proprio nulla, a ribadirlo è l’Avv. Saverio Cuoco dell’Unione Nazionale Consumatori Calabria il quale evidenzia come, in merito a tale argomento, l’associazione si era espressa con analoghe denunce già nel 2015 e nel 2017, con l’aggravante che in tali periodi la stima presuntiva riguardava gli immobili dove il Comune, non aveva effettuato la lettura dei contatori, viceversa quello che stiamo assistendo in questi giorni, riguardano gran parte degli immobili in cui i titolari hanno diligentemente comunicato l’autolettura.

 

Tutto ciò, come più volte sostenuto,  oltre ad essere illegittimo, alimenta il fenomeno dell’evasione fiscale, infatti, nonostante le tasse ed i tributi pagati alla fine dell’anno appena trascorso, (in cui molti lavoratori  a seguito del lokdwaun  sono rimasti a casa e intere attività commerciali paralizzate), il Comune di Reggio Calabria chiede, quasi in contemporanea il pagamento della TARI e del servizio idrico integrato con i soliti criteri stimati o presuntivi e senza prevedere un’adeguata rateizzazione, considerati gli importi esorbitanti richiesti.

Sfiancare le famiglie reggine con l’invio a raffica degli avvisi di pagamento in così breve periodo temporale, ribadisce l’Avv. Saverio Cuoco, induce nei cittadini già sfiniti per l’enorme imposizione fiscale, che ha raggiunto livelli insostenibili, il convincimento che evadere le tasse sia giustificabile per poter sopravvivere.

Il canone relativo al servizio idrico non è una tassa, ma è una tariffa e quindi va addebitato solo in presenza dell’effettiva erogazione del servizio e commisurata al reale consumo effettuato dall’utente, pertanto non può ammettersi alcun calcolo presuntivo, altrimenti mancherebbe la base giustificativa del prelievo e l’ente erogatore del servizio godrebbe di un indebito arricchimento.

La stessa Corte di Cassazione con sentenza del 2017 e successive, sostiene che la pretesa di pagamenti del Comune, basata su un consumo minimo presunto o a “forfait” è illegittima in quanto l’importo del canone da corrispondere da parte dell’utente deve essere quantificato previa misurazione a contatore sulla base dei consumi, conformemente al principio di corrispettività proprio di un contratto sinallagmatico quale quello di somministrazione dell’acqua.

Tale principio, è stato più volte ribadito dall’Unione Nazionale Consumatori Calabria nel recente passato, anche nelle aule dei Tribunali, il contratto di erogazione di acqua è un normale contratto di somministrazione, avente natura privatistica e pertanto soggetto alla disciplina del codice civile, con la conseguenza che se la pretesa creditoria non è supportata da regolari e normali misurazioni del consumo effettivo di acqua come peraltro prevede lo stesso regolamento comunale e si basa unicamente su calcoli forfettari ed iniqui le richieste sono illegittime, mentre si continua a giustificare il tutto sotto la voce acconti che sarebbe giustificabile solo per casi limite quando è impossibile conoscere i metri cubi consumati.

Le fatture inviate viceversa, nonostante l’autolettura effettuata dagli utenti, riportano un consumo stimato, determinando così richieste di importi anche di migliaia di euro per abitazioni non abitate o occupate anche da una sola unità, quando a tale proposito il regolamento comunale prevede espressamente che a tale operazione debba provvedere il Comune tramite i propri incaricati.

Già negli anni addietro il Giudice di Pace di Reggio Calabria, si è espresso favorevolmente nei riguardi dei ricorrenti, assistiti dall’Unione Nazionale Consumatori Calabria, statuendo che il rapporto costituitosi tra il privato cittadino ed il Comune, ha natura privatistica, e pertanto ne consegue che il Comune per potere legittimamente pretendere un maggior corrispettivo rispetto a quello contrattualmente pattuito per la fornitura idrica annuale, dovrà dimostrare che l’utente ha realmente consumato un quantitativo di acqua maggiore rispetto a quello pattiziamente concordato.

Il Comune deve fornire la prova dell’avvenuta lettura del contatore, indicando il giorno in cui l’addetto comunale si è recato per il suddetto controllo e se l’utente fosse presente al momento del rilevamento dell’eccedenza.

Un corretto accertamento rileva il Giudice di Pace, per essere tale, deve contenere una data precisa e, per effettuare il calcolo è indispensabile che siano indicate data ed entità del precedente accertamento e che lo stesso avvenga alla presenza dell’utente per dare la possibilità allo stesso di conoscere il consumo ed eventualmente contestarlo al letturista e all’ufficio preposto.

Peraltro a nulla inoltre è valsa  la circostanza che il Comune per correre ai ripari, si affrettasse nel corso del giudizio ad annullare la fattura emessa su calcoli presuntivi dell’importo a titolo di canone acqua, reflue e depurazione, infatti il Giudice di Pace ha ribadito a tale proposito che l’Amministrazione comunale, usando la normale diligenza, avrebbe potuto intervenire prima senza costringere l’interessato a proporre opposizione, condannando il Comune al pagamento delle spese di giudizio.

Per qualsiasi informazione è possibile contattare l’associazione allo 0965/24793 –  3288310045 o collegarsi al sito www.uniconsum.it