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ALLARME SVIMEZ: NEL 2019 IL SUD TORNA IN RECESSIONE

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Se l’Italia oggi è ferma e, salvo sorprese, chiuderà l’anno con una crescita modesta (+0,1%), il Mezzogiorno d’Italia invece finirà dritto in recessione. A lanciare l’allarme è la Svimez, la Società per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno che anticipa i dati più rilevanti del suo rapporto 2019.

Dopo un triennio, quello che va dal 2015 al 2017, di (pur debole) ripresa del Mezzogiorno, la forbice con il Centro-Nord torna infatti ad allargarsi. In sintesi tengono solo gli investimenti in costruzioni mentre crollano quelli in macchinari e attrezzature e poi prosegue il declino dei consumi della Pubblica amministrazione e degli investimenti pubblici.

 

Al Mezzogiorno – rileva lo studio – mancano quasi 3 milioni di posti di lavoro per colmare il gap occupazionale col Centro-Nord. Il dramma maggiore è l’emigrazione verso il Centro-Nord e l’estero (oltre 132mila le persone che nel 2017 hanno lasciato il Mezzogiorno).

Non tutti i dati sono però drammatici: analizzando infatti in dettaglio regione per regione si nota una forte disomogeneità tra le diverse aree, con Abruzzo, Puglia e Sardegna registrano il più alto tasso di sviluppo.

SI RIAPRE LA FRATTURA COL NORD

Per il 2019 la Svimez prevede un pil sottozero al Sud. “La modesta crescita osservata nei primi sei mesi, che proseguiva il trend espansivo avviatosi ad inizio 2014, ha infatti lasciato il posto ad un sempre più marcato rallentamento dell’attività produttiva”. Il risultato è che nel quadro di un progressivo rallentamento dell’economia italiana “si è riaperta la frattura territoriale che arriverà a segnare un andamento opposto tra le aree, facendo ripiombare il Sud nella recessione da cui troppo lentamente era uscito”. In base alle previsioni della Svimez l’Italia quest’anno farà registrare una sostanziale stagnazione, con incremento lievissimo del Pil del +0,1%. Il Pil del Centro-Nord dovrebbe crescere poco, di appena lo +0,3%. Nel Mezzogiorno, invece, l’andamento previsto è negativo, con una dinamica recessiva: -0,3% il Pil. Nel 2020 la ricchezza prodotta riprenderà a salire segnando però soltanto un +0,4% (anche l’occupazione tornerà a crescere, se pur di poco, con un +0,3%) mentre il Centro-Nord andrà a +0,9.

IL GAP OCCUPAZIONE

In questa situazione è inevitabile che il Sud paghi un conto salato anche sul piano del lavoro. La dinamica dell’occupazione meridionale, infatti, “presenta dalla metà del 2018 una marcata inversione di tendenza, con una divaricazione negli andamenti tra Mezzogiorno e Centro-Nord: sulla base dei dati territoriali disponibili, gli occupati al Sud negli ultimi due trimestri del 2018 e nel primo del 2019 sono calati complessivamente di 107 mila unità (-1,7%); nel Centro-Nord, invece, nello stesso periodo, sono cresciuti di 48 mila unità (+0,3%)”.  Nello stesso arco temporale, aumenta la precarietà al Sud e si riduce nel CentroNord: i contratti a tempo indeterminato nel Mezzogiorno sono stati 84 mila in meno (2,3%), mentre nelle regioni centro-settentrionali sono aumentati di 54 mila (+0,5%), con un saldo italiano negativo di 30 mila unità, pari a -0,2%. Per converso, i dipendenti a tempo determinato sono cresciuti di 21 mila unità nel Mezzogiorno (+2,1%), mentre sono calati al Centro-Nord di 22 mila (-1,1%).  E poi resta ancora troppo basso il tasso di occupazione femminile nel Mezzogiorno, nel 2018 appena il 35,4%, contro il 62,7% del Centro-Nord, il 67,4% dell’Europa a 28 e il 75,8% della Germania.

MANCANO 3 MILIONI DI POSTI

La Svimez ha stimato che il gap occupazionale del Sud rispetto al Centro-Nord (calcolato moltiplicando la differenza tra i tassi di occupazione specifici delle due ripartizioni per la popolazione meridionale) nel 2018 è stato pari a 2 milione 918 mila persone, al netto delle forze armate. È interessante notare che la metà di questi riguardano lavoratori altamente qualificati e con capacità cognitive elevate. I settori nei quali vi sono i maggiori gap sono i servizi (1 milione e 822 mila unità, -13,5%), l’industria in senso stretto (1 milione e 209 mila lavoratori, -8,9%) e sanità, servizi alle famiglie e altri servizi (che complessivamente presentano un gap di circa mezzo milione di unità).