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SE I DATI POSSONO COMPRARE LE NOSTRE LIBERTÀ: COSA RESTERÀ PER I CONSUMATORI DOPO LO SCANDALO CHE HA COINVOLTO FACEBOOK

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Lo scandalo di Cambridge Analytica si è abbattutto come uno tzunami sulla società con la forza di quegli eventi che sembrano in grado di cambiare tutto. Per le nostre vite, per i nostri dati e forse anche per il web. Qualcuno sussurra che mai più nulla sarà come prima per internet e i suoi consumatori. Io spero che sia davvero così questa volta: che non si dimentichi in fretta, come invece è accaduto per il dieselgate!

Già, perché parliamo della più insidiosa delle crisi per il mondo online: il crollo della fiducia degli utenti. Il caso è noto: secondo le rivelazioni del New York Times e del britannico Observer oltre 50 milioni di profili Facebook sarebbero stati “rubati” dalla società Cambridge Analytica per essere messi al servizio della campagna per la Brexit e poi della corsa presidenziale di Donald Trump.

Come può essere accaduto? Semplice, invitando i consumatori a “giocare online”. Proprio così: un ricercatore inglese riesce ad ottenere l’accesso a 270.00 profili Facebook a cui viene chiesto il consenso per partecipare a una indagine a fronte della quale avrebbero ottenuto il loro profilo psicologico. Ciascuno degli utenti coinvolti ha utilizzato la App usando le proprie credenziali Facebook, consentendo così l’accesso alle informazioni dei propri amici. Ciò ha consentito a Cambridge Analytica di metter le mani su oltre 50 milioni di profili Facebook.

Perché il tema, al di là delle implicazioni politiche, interessa i consumatori? Perché questo schema si replica centinaia di volte ogni giorno tanto da appartenere ormai alla normalità dei nostri comportamenti online: alzi la mano chi non abbia mai ricevuto sollecitazioni analoghe! Sui social, tramite app, tramite banner durante la navigazione, con chat-bot e altre diavolerie: siamo tutti vittime permanenti della più grande caccia ai dati che l’umanità abbia mai registrato.

Dati, tanti dati, una enorme quantità di informazioni che rappresentano l’oro nero del nostro tempo. Oggi le implicazioni di questo fenomeno sono destinate a deflagrare non tanto per la pervasività del digitale, quanto per la diffusione (a buon mercato) delle tecnologie per “raffinare” questo petrolio: mi riferisco all’intelligenza artificiale, al data mining, al machine learning… Tecnologie capaci di “leggere” -letteralmente- miliardi di dati grezzi (pensiamo appunto ai post su un social network) per estrarre informazioni raffinate sulle idee politiche, ma anche sui gusti, sulle capacità di spesa e quindi sui potenziali consumi di tutti noi.

Ecco perché, una volta di più, con l’Unione Nazionale Consumatori abbiamo lanciato l’allarme: oggi il mondo si chiede se i social network siano in grado di proteggere i dati che noi tutti forniamo, controllando che non ne venga fatto alcun abuso. Mark Zuckerberg ha dichiarato: “siamo stati ingannati”. Ma intanto diventa virale la campagna #DeleteFacebook (“cancella Facebook) e il titolo crolla in Borsa mandando in fumo 36 miliardi di dollari (parliamo di importi paragonabili al volume di una nostra legge finanziaria) e trascinando in rosso tutto il settore dei social media (Twitter ha ceduto oltre il 10%).

Perché questa debacle dell’intero settore? La risposta potrebbe essere inquietante per tutti noi: gli azionisti, alla luce dello scandalo Cambridge Analytica, vedono minacciato tutto un modello di business, quello fondato sullo sfruttamento dei dati degli utenti!

In questi giorni si è attivato il Parlamento Ue (con la richiesta a Facebook di chiarire davanti ai rappresentanti dei cittadini europei che i dati personali non vengono utilizzati per manipolare la democrazia), ma anche l’Autorità italiana per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) ha richiesto informazioni a Facebook circa l’impiego di data analytics per finalità di comunicazione politica, da parte di soggetti terzi diversi dalla piattaforma: il punto è che certe tecniche di profilazione “selettiva” degli utenti, in base alle loro caratteristiche psico-sociali, potrebbero consentire la realizzazione di campagne mirate su commissione di soggetti politici per la personalizzazione dei messaggi elettorali. Sullo sfondo, inutile ricordarlo, le stesse elezioni europee che -come ricorda il Garante Ue per la privacy, Giovanni Buttarelli- saranno un importante test all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo “regolamento privacy” prevista per fine maggio.

Ma queste iniziative saranno presto dimenticate: qualcuno ha già lanciato l’idea di una Commissione di inchiesta sui Big data e qualcun altro penserà a fare business con una campagna di educazione degli utenti sull’importanza di proteggere i propri dati. La nostra libertà di cittadini (e quella, non da meno di consumatori) è però davanti a un passaggio epocale: occorre riflettere intimamente sui nostri atteggiamenti online, sull’esempio che diamo ai nostri amici, ai nostri colleghi in ufficio. Sugli insegnamenti che (con i nostri stessi comportamenti) diamo ai nostri figli.

Perché nulla deve essere più come prima, se aspiriamo a un ecosistema dove i dati siano una risorsa per tutti e non un giogo invisibile per le nostre libertà.