di Valeria Zeppilli
L’assenza di consenso informato del paziente non è da sola sufficiente a far scattare il diritto al risarcimento del danno, ma a tal fine serve qualcosa in più, ovverosia, a detta della Corte di cassazione, la dimostrazione che il paziente, se fosse stato adeguatamente informato, avrebbe rifiutato quel determinato intervento o ne avrebbe affrontato le potenziali conseguenze con una migliore e più serena predisposizione.
L’argomento, nel dettaglio, è stato ampiamente trattato dall’ordinanza numero 2369/2018 della terza sezione civile, che ha invitato il giudice che si trova a giudicare i casi di assenza di consenso informato a verificare se il corretto adempimento dei doveri informativi gravanti sul medico avrebbe prodotto come effetto la non esecuzione dell’intervento o la necessaria predisposizione e preparazione del paziente ad affrontare il periodo post-operatorio.
Il nesso di casualità
Tale indagine risulta fondamentale per la Corte in quanto, se il paziente, anche all’esito di un’adeguata informazione, avrebbe comunque acconsentito all’intervento a prescindere dagli esiti e dalle conseguenze, risulterebbe insussistente il nesso di causalità tra la condotta del medico e la lesione della salute.
L’onere della prova
Di conseguenza, in materia di onere della prova, sebbene il consenso del paziente non possa mai essere presunto o tacito, è tuttavia possibile presumere la prova che un consenso sia stato prestato effettivamente e in modo esplicito, con onere gravante sul sanitario.
Inoltre, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito dal quale siano derivate, tuttavia, delle conseguenze dannose, l’assenza di consenso informato può comportare il risarcimento del danno solo se il paziente dimostra che, se avesse ricevuto un’adeguata informazione, avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento.