Home Notizie utili REATO DI MOLESTIE PER L’AMBULANTE INSISTENTE

REATO DI MOLESTIE PER L’AMBULANTE INSISTENTE

334
0

di Annamaria Villafrate

La sentenza della Cassazione n. 35718/2018 precisa che, poiché la petulanza costituisce una modalità della condotta del reato di molestie prevista dall’art. 660 c.p, se il comportamento del soggetto è obiettivamente petulante, fastidiosamente insistente e invadente, è sufficiente a integrare l’illecito penale che l’agente sia consapevole del suo modo di fare, senza che abbia importanza il fine che lo porta a comportarsi così.

 

La vicenda processuale

Il Tribunale di Termini Imerese ritiene l’imputato colpevole del reato di molestie nei confronti di una passante, poiché in concorso con un altro soggetto ha cercato “di convincerla, in maniera pressante e impertinente, ad acquistare dei profumi”.

La vicenda si era svolta nel seguente modo: la signora mentre effettuava un prelievo bancomat, era stata avvicinata dall’imputato che “aveva cominciato a parlale del diritto al lavoro e quando la denunciante aveva accennato ad allontanarsi, aveva estratto dalla borsa un profumo tentando di convincerla ad acquistarlo.” In quel momento si avvicinava anche l’altro socio che, con la medesima insistenza, rincorreva e tallonava la signora fino all’ingresso della stessa nell’autovettura del marito che l’aspettava. Avanzava ricorso l’imputato denunciando tra l’altro che, la pronuncia di reità si era fondata esclusivamente sulle dichiarazioni della parte offesa e che la finalità della condotta non era stata la molestia, ma la vendita del profumo.

Cassazione: reato di molestie per l’ambulante petulante

In riferimento alla prima contestazione la cassazione ribadisce che le dichiarazioni della persona offesa, se oggettivamente e soggettivamente credibile, possono costituire l’unica fonte di prova della decisione. In relazione invece alla contestazione mossa dall’imputato sulla finalità della sua condotta si esprime nei termini che seguono. “La sentenza impugnata ha ampiamente ricostruito i fatti, descrivendo il comportamento insistente sopra ogni limite tenuto dall’imputato (si è evidenziato come il medesimo non si fosse limitato a reiterare la, già rifiutata, offerta di vendita del prodotto, ma avesse rincorso e tallonato la donna fino a quando la stessa non aveva raggiunto l’autovettura del marito). Del tutto correttamente, alla luce di tali emergenze, e plausibilmente ha dunque definito il suo agire “pressante, indiscreto e impertinente”, ovverosia petulante. E proprio l’oggettivo comportamento dell’imputato rende d’altronde priva di pregio la tesi difensiva che egli non s’avvedesse dell’oggettivo disturbo arrecato e della inutile petulanza del suo agire. Potendosi solo aggiungere che nella fattispecie incriminatrice in esame la petulanza costituisce una modalità della condotta prima ancora che un atteggiamento soggettivo, sicché è principio consolidato che, ove la condotta sia obiettivamente petulante (fastidiosamente insistente e invadente), è sufficiente ad integrare il reato la circostanza che l’agente sia consapevole di tale suo modo di fare, non rilevando la pulsione che lo muove.