Secondo la Cassazione c’è abuso o uso improprio del permesso previsto dall’art. 33 co. 3 della legge 104/1992 solo se manca il nesso tra assenza dal lavoro e assistenza al disabile
Fruizione abusiva permessi legge 104
La Cassazione con la sentenza n. 12032/2020 (sotto allegata) interviene sulla questione dei permessi previsti dall’art. 33 co. 3 della 104/1992 per assistere il familiare disabile e riafferma il principio secondo cui il lavoratore può essere accusato di abuso o uso improprio di questo permesso solo in assenza del nesso di causa tra assenza dal lavoro e assistenza alla persona bisognosa.
La Corte d’Appello conferma la decisione di primo grado che ha respinto il reclamo nei confronti dell’ordinanza che ha ritenuto insufficiente la prova relativa all’addebito disciplinare contestato a una lavoratrice dalla società datrice, relativamente alla supposta fruizione abusiva dei permessi previsti dall’art. 33. co. 3 della legge 104/1992. La Corte dispone quindi la reintegrazione della donna nel posto di lavoro e condanna la datrice a corrispondere un’indennità risarcitoria pari a 12 dell’ultima retribuzione corrisposta. Il giudice del gravame ritiene che la relazione dell’agenzia investigativa, incaricata dalla datrice per verificare che la lavoratrice prestasse effettivamente assistenza alla madre disabile, sia lacunosa, per cui dalla stessa non risulta che la dipendente abbia svolto attività incompatibili con il permesso.
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Tempi delle attività incompatibili con l’assistenza alla madre
La S.p.a datrice soccombente però non desiste e ricorre in Cassazione, sollevando i seguenti motivi di ricorso.
- Con il primo contesta alla Corte d’Appello il giudizio d’inidoneità probatoria della relazione investigativa e il travisamento delle testimonianze sulla condotta della dipendente.
- Con il secondo ritiene che il giudice del gravame non abbia erroneamente tenuto conto delle ammissioni della lavoratrice relativamente alla condotta tenuta durante la fruizione dei permessi, visto che la stessa ha affermato di “essere stata a disposizione della madre.”
- Con il terzo lamenta come la Corte non abbia considerato l’ammissione della lavoratrice e le risultanze della investigazione come prove idonee a invertire l’onere della prova.
- Con il quarto infine contesta alla Corte di aver omesso di esaminare la compatibilità dei tempidelle attività compiute dalla lavoratrice per l’assistenza della madre.
Abuso dei permessi legge 104 solo se manca nesso
La Cassazione con la sentenza n. 12032/2020 respinge il ricorso della datrice per le seguenti ragioni.
Prima di tutto non si può prescindere dalla inammissibilità del ricorso per Cassazione, che esclude la possibilità di impugnare la sentenza d’appello che conferma la sentenza di primo grado.
Per quanto riguarda il motivo sull’onere della prova la Cassazione ribadisce che: “la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta onerata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, gravando sulla ricorrente la prova della legittima irrogazione della sanzione espulsiva in ragione della infrazione perpetrata.”
Il secondo motivo del ricorso risulta inammissibile perché in sostanza la società datrice chiede di esprimere un giudizio sulla valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, attività che, come noto, è preclusa in sede di legittimità.
Gli Ermellini evidenziano poi come la Corte d’Appello abbia valutato come “lacunose” le risultanze probatorie risultanti dalle attività investigative e tali quindi da non poter legittimare il licenziamento intimato poiché dal quadro è “emerso che la dipendente svolgeva una serie di attività a vantaggio dell’anziana madre non implicanti necessariamente la permanenza presso l’abitazione della stessa”.
Da qui il richiamo alla sentenza n. 19580/2019 secondo cui: “soltanto ove venga a mancare del tutto il nesso tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e di buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo che genera la responsabilità del dipendente.”
Sul quarto motivo del ricorso infine la Cassazione, oltre a ribadire che trattasi, anche in questo caso, di una valutazione di fatto sottratta al sindacato di legittimità, afferma che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte d’Appello ha esaminato ampiamente e con una motivazione priva di vizi logici, i vari accadimenti temporali, compresi gli intervalli di tempo in cui la dipendente non ha svolto attività materiale di assistenza.