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L’INFLUENZA AL TEMPO DEL COVID-19

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L’influenza è una classica malattia stagionale, con epidemie annuali, causata dai virus influenzali appartenenti al gruppo degli Orthomyxovirus , virus ad RNA, raccolti nei tipi A, B e C (A e B son quelli  più comunemente umani), e vari sottotipi antigenici a seconda la composizione di  due glicoproteine (H-emagglutinina) ed N (neuraminidasi) che adornano la superficie virale e costituiscono fattori fondamentali della virulenza e della costituzione dei vaccini contro l’influenza stessa. Il più noto e “cattivo” virus influenzale è stato quello identificato come H1N1 che causò la pandemia cosiddetta spagnola negli anni 1917-1918 , che si stima abbia infettato  da un quarto ad un terzo della popolazione mondiale ( allora era di circa 2 miliardi) e causato  da 30 a 50 milioni di decessi. Le successive pandemie influenzali sono state assai meno letali,  fra cui la più nota è la asiatica ,  del 1957. L’ultima pandemia influenzale è stata quella del 2009, presentatasi con un esordio assai minaccioso in Messico e grandissima paura  in tutto il mondo di una nuova spagnola ma risultata poi di grande diffusione ma di letalità sostanzialmente simile a quella di  una classica influenza stagionale, a dimostrazione che i virus influenzali sono sempre molto sorprendenti.

 

Oggi, l’influenza è di fatto endemica , circola nella stagione invernale nei due emisferi, ha generalmente bassa letalità ( meno dello 0.1% dei soggetti infetti) ma continua ad avere ampia diffusione, con molti milioni di casi in Italia ogni anno ed alcune migliaia di decessi concentrati nelle  fasce di maggiore suscettibilità, quella pediatrica, delle donne in gravidanza  e soprattutto quella degli anziani ( > 65 anni) con vari cofattori di morbilità, in particolare malattie croniche bronco-polmonari. Nella popolazione non a rischio il decorso è benigno, sostanzialmente caratterizzato da febbre, sintomi respiratori, dolori articolari e generale astenia. Tuttavia, l’impatto sul sistema sanitario è alto in termini di ospedalizzazione e costi delle cure ed Il  virus rimane un cliente alquanto pericoloso per alcuni soggetti.

Dal punto di vista viro-epidemiologico l’influenza è una zoonosi. La caratteristica saliente dei virus influenzali è la loro alta capacità di mutare e ricombinare il proprio segmentato genoma (8 frammenti di RNA a singola catena) nei diversi serbatoi animali in cui è endemico e molto diffuso,  costituito soprattutto da uccelli acquatici e maiali, con diversi ed assai efficienti meccanismi per cui  il virus  che alla fine passa dagli animali all’uomo è quasi sempre diverso in ogni stagione influenzale, in particolare nei casi di nuove pandemie. Non necessariamente la diversità influenza la virulenza, cioè la sua aggressività per l’uomo ma certamente ne cambia l’assetto antigenico, le sue famose proteine dell’involucro virale  e questo ha una importanza critica per il vaccino, come diremo in seguito.

L’infezione avviene classicamente per via aerea tramite droplets  ed aerosol , con un fattore riproduttivo che va da poco sopra 1 a 2, cioè un soggetto ne infetta al massimo  altri due. La persistenza del virus in aerosol è la caratteristica che rende l’infezione comunque assai trasmissibile. Questo virus, spesso non considerato molto pericoloso, in realtà lo è soprattutto per la sua capacità di indebolire il nostro sistema   immunitario e favorire l’aggressione da altri patogeni. In particolare, ha un forte potere deprimente l’immunità locale nasofaringea e spesso apre la strada a germi che questo tipo di immunità, se lasciata intatta,  è capace di ben controllare. Succede così non di rado che il virus, deprimendo queste difese, permette l’invasione delle vie aeree ad un nostro comune batterio del naso faringe quale lo pneumococco in grado di provocare polmoniti e meningiti, ed infatti queste infezioni sono spesso la reale causa del ricovero ospedaliero e della morte del soggetto.

Dall’influenza e da queste malaugurate sequele infettive possiamo difenderci efficacemente  con la vaccinazione. Ma ci sono due problemi: il primo è che il vaccino va fatto ogni anno perché il virus cambia il suo assetto antigenico, come  ho detto sopra. Il secondo è che il vaccino non ha in genere una elevata efficacia, protegge solo attorno ai due terzi delle persone che lo fanno. Questo comporta la necessità che la vaccinazione sia molto estesa per controllare la diffusione del virus, cioè ridurre a meno di 1 il suo fattore riproduttivo. Purtroppo, la vaccinazione antiinfluenzale è pochissimo accettata ed eseguita nel nostro Paese. La copertura vaccinale è molto bassa nei bambini-adolescenti (meno del 5%) e solo discreta negli anziani a rischio (40-50%), pertanto noi, nonostante il vaccino, ci sorbiamo ogni anno un  epidemia di influenza e conseguentemente una estesa ospedalizzazione e parecchie migliaia di decessi direttamente od indirettamente attribuibili al virus influenzale.

Quest’anno avremo una storica ed inedita situazione epidemiologica: l’influenza ci sarà durante la nostra nuova ed originale pandemia, quella causata dal coronavirus SARS-CoV-2 che provoca una malattia assai più grave, più trasmissibile  e maggiore mortalità rispetto all’influenza, contro cui siamo tutti suscettibili. Il nuovo morbo è il Covid-19, che ormai credo tutti conoscano. Molti si chiedono, me compreso, come si comporterà il virus influenzale in bella compagnia con il SARS-CoV-2? Nessuno lo sa, ma lo vedremo fra poco. In particolare, cosa accadrà ad una persona con Covid-19 se sarà co-infettata dal virus influenzale, e cosa succederà se questo virus colpisce un soggetto infetto dal coronavirus ma asintomatico, che sono poi la stragrande maggioranza degli infetti? Nessuno conosce queste risposte , anche perché quest’anno il virus influenzale ha girato molto poco nell’emisfero australe che in genere precede la diffusione del virus nel nostro emisfero e ci  trasmette molte informazioni al riguardo… Fra l’altro, perché quest’anno c’è stata così poca influenza in quell’emisfero? Sarà perché  si sono protetti con mascherina e distanziamento per Copvid-19 e questo ha evitato la circolazione del virus influenzale? Alla fine i sintomi iniziali sono sostanzialmente gli stessi nelle due malattie, anche se SARS-2-CoV circola più efficacemente  del virus influenzale, il suo fattore riproduttivo va da 2 a 3. Sappiamo però dall’analisi di quei pochi soggetti infettati da entrambi i virus che “vince” il coronavirus, nel senso che la malattia sembra procedere come se l’influenzale non ci fosse. Comunque non ci sono prove definitive di quanto sopra, ed a me sembra intuitivo che due virus insieme, a meno che non si facciano la guerra, è meglio evitarli. Per farlo, ed a parte il problema coronavirus, bisogna cercare di evitare di contrarre l’influenza perché questo comporterebbe un minor carico sui ricoveri ospedalieri e sulle terapie intensive  che potrebbero essere messe di nuovo a dura prova in questa seconda ondata di Covid-19 .

Per quanto ho detto sopra sarebbe però necessario alzare molto il livello della copertura vaccinale contro l’influenza, arrivando ad almeno il 75-l’80% dei vaccinati anziani e delle  altre categorie di rischio, con particolare riguardo agli operatori sanitari. Sarebbe anche molto importante che si vaccinassero più soggetti in età pediatrica. Infine, è importantissimo mantenere se non incrementare le misure di controllo dell’epidemia di Covid-19 con l’uso di mascherine e distanziamento sociale, oltre al lavaggio frequente delle mani, che sono misure che certamente hanno un positivo effetto anche sulla trasmissione del virus influenzale. Dovremmo sempre ricordarci che il nostro comportamento, anche in assenza di un vaccino o terapie efficaci contro Covid-19 può fare la differenza. All’interno di questo generale comportamento anti-Covid-19, l’ampia accettazione della vaccinazione influenzale  può costituire  un’arma decisiva.

Autore: Antonio Cassone, Membro dell’American Academy of Microbiology, già direttore del Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie ed Immuno-mediate, ISS, Roma ed Ordinario di Microbiologia Medica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Perugia.