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INFEZIONI DA PIERCING: RISPONDE IL TATUATORE

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Annamaria Villafrate 

Per la Cassazione è responsabile dell’infezione all’orecchio della giovane cliente, la tatuatrice che non disinfetta la cute e gli strumenti necessari all’operazione

Lesioni personali colpose per mancato rispetto norme igieniche

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 32870/2020 respinge il ricorso dell’imputata e conclude che, per i tempi in cui si è sviluppata l’infezione, essa è stata cagionata dalla mancata disinfezione della parte e degli strumenti utilizzati. Conclusioni a cui gli Ermellini giungono al termine della vicenda processuale che si va ad esporre.

 

Il Giudice di Pace condanna l’imputata alla multa di 500 euro per il reato di lesioni personali colpose di cui all’art 590 c.p. e al risarcimento dei danni in favore della parte civile per i danni fisici subiti, da liquidarsi in separata sede, oltre alle spese di costituzione e assistenza.

L’imputata è stata tratta a giudizio infatti perché, per negligenza imperizia e imprudenza, non ha rispettato le norme igieniche previste e nel posizionare un piercing nell’orecchio destro della parte offesa, le ha provocato un’infezione a causa della quale ha riportato una malattia della durata superiore ai 40 giorni, con residuo danno biologico estetico.

Il Tribunale in sede di appello riforma in parte la sentenza, dichiarando il reato estinto per prescrizione, confermando nella parte restante la condanna alle spese di assistenza e costituzione sostenute dalla parte civile per il giudizio di appello.

Una cattiva igiene personale può aver causato l’infezione

L’imputata però ricorre in Cassazione ritenendo che la sua condotta non costituisca “l’unico possibile fattore scatenante della malattia”. Il Tribunale ha trascurato quanto emerso in sede istruttoria e ha omesso di considerare che una cattiva igiene della persona offesa nei giorni successivi al posizionamento del piercing può essere stata la causa dell’infezione. Opzione che, se considerata, avrebbe aperto a un diverso percorso causale in merito all’insorgenza della malattia e della responsabilità. Esiste quindi un ragionevole dubbio, che non può non condurre alla neutralizzazione dell’accusa e all’assoluzione per il reato contestatole.

I tempi in cui è sorta l’infezione dimostrano la negligenza della tatuatrice

La Corte di Cassazione però, poco convinta della tesi sostenuta dall’imputata, con la sentenza n. 32870/2020 dichiara il ricorso inammissibile rilevando prima di tutto come parte ricorrente ignori il ragionamento logico giudico dettagliato del Tribunale, che ha condotto al rigetto delle medesime doglianze. L’imputata infatti, con il motivo avanzato in sede di legittimità, tenta di ottenere una nuova valutazione dei fatti, preclusa in detta sede.

Il Tribunale ha fatto corretta applicazione della regola di giudizio “dell’al di là di ogni ragionevole dubbio” la quale permette di pronunciare sentenza di condanna se il dato probatorio acquisito lascia fuori solo ricostruzioni alternative che costituiscono eventualità remote “pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana.”

Nel caso di specie è stato confermato che l’imputata non ha fatto ricorso all’utilizzo di disinfettanti. Le testimoni della difesa, pur non avendo assistito all’episodio hanno riferito che, per prassi, è necessario adottare le necessarie cautele per evitare infezioni ossia disinfettare la parte interessata dal posizionamento del piercing e la strumentazione utilizzata, compresi quelli che vengono a contatto in modo mediato con l’area.

Il Tribunale riferisce, a fondamento della propria decisione, che il consulente del Pm ha fatto presente che l’infezione si è manifestata appena uno, due giorni dopo. Una testimone ha confermato che l’orecchio della ragazza, due giorni dopo l’inserimento del piercing, è diventato rosso. La madre ha poi notato un peggioramento dell’infiammazione tanto che ad un certo punto ha portato la figlia al pronto soccorso e in questa sede l’orecchino le è stato estratto, dopo averle praticato una piccola incisione e le è stato prescritto un antibiotico da assumere per bocca.

I tempi rapidi in cui è insorta l’infezione fanno ritenere corrette le conclusioni del giudice di merito, anche perché la madre della ragazza ha riferito di essersi premurata che la figlia seguisse le prescrizioni igieniche necessarie subito dopo l’inserimento dell’orecchino. Dichiarazioni che smentiscono la tesi dell’imputata.