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FISCO, ANTITRUST BOCCIA IMPOSTA SUI MONEY TRANSFER

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L’Antitrust boccia l’imposta sui money transfer introdotta dal Governo nel decreto fiscale di dicembre. È una imposta pari all’1,5% sui trasferimenti di denaro verso i paesi che non appartengono all’Unione europea, fatti dagli istituti di pagamento, ma non da banche e Poste. Per l’Antitrust si tratta di una misura “ingiustificatamente discriminatoria”. Questa la valutazione espressa in una segnalazione inviata ai ai presidenti di Camera e Senato, al presidente del Consiglio dei Ministri, al Mef, all’Agenzia delle entrate e alla Banca d’Italia.

Qui l’Autorità garante della concorrenza ha espresso una serie di valutazioni sulle criticità alla concorrenza che vengono dalla norma contenuta nel D.L. n. 119/2018 (convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, legge n. 136/2018), che ha istituito un’imposta dell’1,5% sui trasferimenti di denaro verso paesi non appartenenti all’Unione europea.

La nuova imposta sulle rimesse di denaro, scrive l’Antitrust, risulta “ingiustificatamente discriminatoria” perché si applica solo alle rimesse effettuate dai money transfer (usati dai migranti per inviare denaro nei paesi d’origine) ma “non dalle altre categorie di operatori che possono offrire analogo servizio, in particolare le banche italiane ed estere e la società Poste Italiane S.p.a.; essa appare dunque – scrive l’Autorità – suscettibile di alterare il corretto confronto competitivo, poiché si traduce in un elemento di costo gravante solo sugli istituti di pagamento, riducendo la loro capacità di formulare offerte competitive, a parità di altre condizioni”.

Non c’è solo la contestazione riguardo all’impatto sulla concorrenza. L’Antitrust contesta anche il rischio di ridurre la trasparenza di condizioni economiche già difficili da valutare e di portare, alla fine, ad aggravi per i consumatori. La nuova imposta, scrive ancora l’Autorità, “potrebbe ridurre ulteriormente il grado di trasparenza sulle condizioni economiche praticate per il servizio di rimesse di denaro, in un contesto in cui i costi complessivi del servizio già risultano di difficile comparazione, poiché dipendono da numerose e mutevoli variabili, tra cui commissioni e spread sui tassi di cambio. Ciò può determinare un ulteriore aumento dei costi di ricerca per i consumatori, riducendo così gli incentivi per gli operatori a competere efficacemente”.

Considerata dunque la rilevanza economica e sociale delle rimesse in denaro, l’Antitrust “auspica che la norma citata possa essere oggetto di opportune modifiche, tese a eliminare i descritti effetti discriminatori tra operatori attivi nell’offerta di servizi di rimessa di denaro e a ripristinare le condizioni per un corretto confronto competitivo.”