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CORONAVIRUS, È ARRIVATA L’ORA DI UNA MACELLAZIONE A KM0

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GIORGIA CANALI

Dopo la Germania anche in Italia si sono registrati focolai di Covid19 tra i lavoratori delle aziende di macellazione e trasformazione della carne suina. In generale pare che il settore della lavorazione delle carni registri una maggiore incidenza dei casi di infezione come fotografa anche un rapporto pubblicato dal Food and Environment Reporting Network. Dati che dovrebbero imporre una riflessione sul consumo di carne e non perché, come si potrebbe sospettare, questa possa essere veicolo di contagio.

A chiarire i dubbi su questo fronte ci viene in aiuto uno studio l’Istituto federale tedesco per la valutazione del rischio, il BfR, che mostra come maiali, polli e altri animali da carne non si infettano e non possono quindi contagiare l’uomo attraverso la catena alimentare diretta.

 

Quei focolai devono invece far riflettere perché accendono i riflettori sulle criticità del sistema di allevamento industriale. La maggiore incidenza di casi di contagio nel settore della lavorazione della carne trova infatti spiegazioni nelle situazioni ambientali che si vengono a creare nelle grandi aziende di macellazione. Proprio l’ambiente del mattatoio in sé si presenta come ideale per la trasmissione del virus, perché la lavorazione della carne comporta temperature basse con un’elevata umidità e vaporizzazione. Ci sono poi fasi della lavorazione come quella del porzionamento e del disossamento che viene fatto spalla a spalla, in catena di montaggio, per ottimizzare i tempi. Ad aggiungere criticità sono le condizioni in cui la manodopera, spesso straniera, vive anche al di fuori del luogo di lavoro: affollamento abitativo, spesso in condizioni di promiscuità e scarsa igiene.

Quello che questi focolai mettono in evidenza sono dunque gli eccessi di un sistema di produzione di carne a basso costo e i danni del consumo di massa di prodotti animali. Attraverso la campagna Slow Meat, Slow Food (www.slowfodo.it) è impegnata a promuovere un consumo più attento e responsabile di carne. Occorre mangiarne meno e di migliore qualità tenendo in considerazione il benessere animale e l’impatto ambientale delle nostre scelte di consumo.

Possiamo farlo evitando la carne e i trasformati provenienti da allevamenti intensivi e da fabbriche, e informandoci di più e meglio su, privilegiando allevamenti sostenibili, dove spesso le razze sono autoctone e gli animali pascolano in libertà e sono nutriti con foraggi, fieno, miscele di cereali e leguminose del territorio.

Ma di fronte abbiamo anche un’altra opportunità ed è quella di provare a ripensare anche sotto il profilo normativo la fase della macellazione, per riavvicinarla ai luoghi in cui gli animali sono cresciuti. La legislazione europea obbliga infatti gli allevatori, se vogliono commercializzare la carne dei loro animali, a portarli nelle grandi strutture autorizzate per essere abbattuti. Anche in Italia come in altri paesi europei stanno nascendo progetti

sperimentali, la speranza è che queste esperienze che si allontanano da un approccio industriale e vanno nella direzione di una maggiore tutela del benessere animale possano consolidarsi e farsi agenti di un cambiamento culturale oltre che normativo.