Rischia una condanna penale, per il reato di diffamazione, chi offende una persona con messaggi trasmessi su una chat di gruppo su Whatsapp. Lo ha spiegato la Cassazione, con una sentenza della quinta sezione penale, inerente il caso di un adolescente – prosciolto dal gup di Bari perché «non imputabile» in quanto di età inferiore ai 14 anni al momento del fatto – e alcuni messaggi inviati nella chat della scuola.
La difesa del ragazzo, invece, sosteneva che non vi fosse alcun rilievo penale, affermando che in casi simili si potesse semmai parlare di ingiuria (reato oggi depenalizzato e trasformato in illecito civile), poiché la destinataria dei messaggi offensivi partecipava alla stessa chat.
I giudici del “Palazzaccio” hanno rigettato il ricorso, richiamando anche precedenti pronunce su posta elettronica e mailing list: «L’eventualità che tra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona nei cui confronti vengono formulate le espressioni offensive non può indurre a ritenere che, in realtà venga, in tale maniera, integrato l’illecito di ingiuria, piuttosto che il delitto di diffamazione», evidenzia la Corte, perché «sebbene il mezzo di trasmissione/comunicazione adoperato consenta in astratto anche al soggetto vilipeso di percepire direttamente l’offesa – si spiega nella sentenza – il fatto che il messaggio sia diretto ad una cerchia di fruitori, i quali, peraltro, potrebbero venirne a conoscenza in tempi diversi, fa sì che l’addebito lesivo si collochi in una dimensione ben più ampia di quella interpersonale tra offensore e offeso. Di qui – conclude la Cassazione – l’offesa alla reputazione della persona ricompresa nella cerchia dei destinatari del messaggio».