Nell’anno scolastico 2016/17 sono stati censiti sul territorio nazionale 13.147 servizi socio-educativi per l’infanzia. Lo riporta l’Istat nel suo report su asili nido e servizi per la prima infanzia.
I posti autorizzati al funzionamento sono circa 354mila, di questi poco più della metà sono pubblici mentre il 48% sono privati.
I posti disponibili coprono solo il 24% del potenziale bacino di utenza (bambini residenti sotto i 3 anni). Tale dotazione è ancora sotto al parametro del 33% fissato dall’Unione europea per sostenere la conciliazione della vita familiare e lavorativa e promuovere la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
La diffusione dei servizi risulta molto eterogenea sul territorio. In diverse regioni del Centro-nord (Valle d’Aosta, Umbria, Emilia Romagna, Toscana e Provincia Autonoma di Trento) tale parametro del 33% è stato ampiamente superato già da diversi anni. Nel Mezzogiorno l’obiettivo risulta ancora molto lontano. In Abruzzo, Molise e Sardegna i posti privati e pubblici nei servizi socio-educativi superano il 20% dei bambini sotto i 3 anni, nelle altre regioni non raggiungono il 15%.
I posti variano da un minimo del 7,6% dei potenziali utenti in Campania a un massimo del 44,7% in Valle D’Aosta.
Nei comuni capoluogo di provincia la media dei posti disponibili nei servizi socio-educativi pubblici e privati corrisponde al 31,8% dei bambini di 0-2 anni. In tutti gli altri comuni, invece, si ha una media di 20,8 posti per 100 bambini.
Tra il 2004 e il 2012 le risorse messe a disposizione dai comuni, titolari dell’offerta pubblica sul territorio, sono passate da 1,1 a 1,6 miliardi di euro (+47%). Nei due anni successivi, invece, si registra una contrazione della spesa e nel triennio 2014-2016 le risorse sembrano essersi stabilizzate. Nel 2016 la spesa impegnata complessivamente dai comuni per i servizi rivolti alla prima infanzia è stata di circa 1 miliardo e 475 milioni di euro (il 19,4% rimborsata dalle famiglie sotto forma di rette). Anche il numero dei bambini iscritti nei servizi educativi comunali e convenzionati mostra una tendenza all’aumento fino al 2010, ma a partire dall’anno scolastico 2011/2012 si registra una contrazione che anticipa di circa un anno la riduzione della spesa dei comuni.
Se dal lato dell’offerta si riscontra l’effetto delle minori capacità di spesa dei comuni e della riduzione dei trasferimenti statali destinati alle politiche sociali, anche dal lato della domanda sono aumentate le criticità. Il peggioramento delle condizioni economiche delle famiglie e le difficoltà che attengono al mercato del lavoro hanno condizionato le scelte in materia di affidamento dei bambini ai servizi socio-educativi.
Le rette pagate dalle famiglie hanno contribuito in misura non trascurabile e crescente al finanziamento dei servizi. La quota a carico degli utenti sul totale della spesa corrente dei comuni è passata dal 17% del 2004 al 20% del 2013, mentre dal 2015 si attesta al 19%.
Gli iscritti nelle strutture comunali o convenzionate in rapporto ai bambini di età inferiore a 3 anni è passato dall’11,4% dell’anno scolastico 2004/2005 al 14% del 2010/2011. Nei quattro anni successivi, però, si ha una progressiva contrazione e soltanto nell’anno scolastico 2016/2017 si registra un leggero recupero (13%, contro 12,6% del 2015/2016). Tale incremento è dovuto in realtà alla diminuzione dei bambini residenti, in presenza di una sostanziale stabilità degli iscritti nei servizi socio-educativi. Nell’anno scolastico 2016/2017 i bambini che hanno usufruito dell’assistenza offerta dai comuni sono 190.984, per la maggior parte accolti all’interno dei nidi comunali.
La spesa media dei comuni per gestire i servizi pubblici o privati convenzionati è molto variabile tra le regioni. Si passa da un minimo di 88 euro l’anno per un bambino residente in Calabria a un massimo di 2.209 euro l’anno nella Provincia Autonoma di Trento.
I livelli di spesa più elevati si registrano in Valle D’Aosta, Trentino-Alto Adige, Emilia Romagna, Toscana e Umbria. Altre regioni del Centro-nord sono caratterizzate da spese elevate nel capoluogo e molto più contenute nel resto della provincia.
Nel corso degli anni sono diminuiti gli utenti dei nidi comunali a gestione diretta, ovvero con personale del Comune, e aumentate le gestioni appaltate ad associazioni e a enti privati. Nell’anno scolastico 2016/2017 negli asili nido a gestione diretta sono iscritti circa 93.200 bambini, contro gli oltre 99.700 di 4 anni prima; gli utenti dei nidi appaltati a gestori privati sono aumentati di quasi 3mila unità.
La spesa corrente dei comuni si riduce decisamente passando dalla gestione diretta a quella indiretta. Nel primo caso il comune spende mediamente 8.798 euro per utente, al netto della quota rimborsata dalle famiglie, nel secondo caso la quota a carico del comune è di 4.840 euro in un anno.
Per offrire il servizio ai propri residenti i comuni possono inoltre avvalersi di strutture private, in cui viene messo a disposizione dell’ente pubblico un determinato numero di posti in virtù del rapporto di convenzionamento. Di questa modalità beneficiano circa 24mila bambini ogni anno e i costi per i comuni sono mediamente inferiori rispetto a quelli dei nidi comunali (in media 3.131 euro l’anno per bambino). In alcuni casi, infine, i comuni si limitano a offrire contributi alle famiglie che iscrivono i propri bambini nei servizi pubblici o privati disponibili sul territorio. Nell’anno scolastico 2016/2017 i contributi hanno interessato circa 12.800 bambini e l’importo medio per utente è stato di 1.627 euro.