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TRIVELLE IN ADRIATICO: “BASTA SVENDITA DELLA NATURA”

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Quali sono le scelte di fondo che l’Italia vuole adottare quando si parla di energia e petrolio, di idrocarburi e futuro, di ambiente e sviluppo? Il caso delle trivellazioni in Adriatico, col via libera alle valutazioni di impatto ambientale che autorizzano la prospezione con l’airgun per cercare idrocarburi, non risolve la questione di fondo relativa alle politiche energetiche e ambientali che l’Italia ha deciso, o deciderà, di seguire. Due le questioni che per il WWF Italia rimangono aperte anche dopo le sentenze del Consiglio di Stato. La prima: “Se il nostro Paese intenda ancora oggi, dopo l’Accordo di Parigi del 2015, favorire le fonti fossili ritardando le scelte a favore delle fonti rinnovabili e ponendo a rischio le nostre risorse naturali”.

La seconda: “Se il nostro Paese voglia  sottovalutare gli impatti ambientali di queste attività, continuando ad alimentare un sistema di agevolazioni e sussidi che fa del nostro Paese un “paradiso fiscale” per le aziende petrolifere”. Per il WWF Italia in ogni caso “gli interventi di ricerca dovranno ora avere le autorizzazioni puntuali per cui sarà necessario continuare a seguire l’iter autorizzativo per cercare in tutti i modi possibili di impedire questo scempio all’ecosistema marino”.

Basta favorire le fonti fossili e svendere la natura”, dice il WWF. L’associazione ricorda i problemi e i pericoli che le trivellazioni si portano dietro, i rischi dell’airgun (come le gravi conseguenze che rumori ad alta potenza possono avere per specie marine come i cetacei), la mancanza di adeguata valutazione delle criticità geologiche e della sismicità delle aree dove vengono localizzate le piattaforme, i rischi di inquinamento nelle fasi di estrazione degli idrocarburi e il pericolo che si fa correre alle aree naturali. Sostiene il WWF: “Il 25% della piattaforma continentale italiana è interessata da attività di sfruttamento degli idrocarburi offshore che mettono a rischio aree di pregio dal punto di vista naturalistico per un ritorno economico dalle attività di estrazione degli idrocarburi del tutto marginale. Il greggio disponibile è di scarsa qualità e le riserve di petrolio presenti nei fondali marini sono molto limitate tanto che potrebbero soddisfare il fabbisogno nazionale solo per 7 settimane: le aziende petrolifere continuano ad investire perché godono di un sistema di esenzioni che non fa pagare le prime 50mila tonnellate di petrolio estratte all’anno a mare e i primi 80 milioni di Smc di gas, oltre ad avere un prezzo delle concessioni per l’estrazione di idrocarburi risibile e godere numerosi sussidi”.