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PROTEGGETE I BAMBINI DAI RAGGI SOLARI: LE SCOTTATURE DELL’INFANZIA PRINCIPALE CAUSA DEL MELANOMA

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«Le scottature solari nell’infanzia e nell’adolescenza sono la principale causa di melanoma, nonostante ciò ancora oggi sono in molti a non proteggere i propri figli, esponendoli ai raggi UV anche nelle ore centrali della giornata. I casi di adolescenti con diagnosi di melanoma sono pochi, ma non inesistenti».

 

La denuncia viene da Paola Queirolo, direttrice della divisione melanoma, sarcoma e tumori rari dello IEO di Milano. Da sempre molto impegnata nella comunicazione e in progetti di prevenzione primaria, come quello nelle scuole «Il sole per amico», quello per gli adolescenti organizzato con Fondazione AIOM #soleconamore, ma anche «Mela talk» ciclo di incontri aperti al pubblico su tutto il territorio nazionale,  la professoressa Queirolo ribadisce l’importanza dei corretti comportamenti delle persone. Ricordando, ad esempio, che applicare la crema solare è necessario, va fatto più volte al giorno e rispettando la giusta dose, pena una riduzione dell’efficacia della protezione.

IL MELANOMA. Sono 150mila gli italiani con diagnosi di melanoma, aggressivo tumore della pelle che registra 13.700 nuovi casi l’anno. Oltre all’esposizione cronica o breve ma intensa ai raggi UV, tra gli altri fattori di rischio per il melanoma ci sono l’avere una storia familiare di tumore alla pelle, avere la pelle chiara e molti nei, l’uso dei lettini abbronzanti, classificati dallo Iarc come cancerogeni. Per questo temibile tumore, l’introduzione dei nuovi farmaci immunoterapici ha portato grandi benefici duraturi per molti pazienti, aprendo la strada della cronicizzazione della malattia.

PREVENIRE. Pietro Quaglino, docente di dermatologia dell’Università di Torino, spiega che «non è la singola campagna ad essere efficace, ma messaggi ripetuti e modulati su pubblici diversi. L’incidenza del melanoma è in aumento ma non la mortalità perché le diagnosi sono sempre più precoci e le lesioni sottili. Ma si può fare di più: i dati sulla popolazione australiana di giovani e adolescenti mostrano chiaramente gli effetti delle campagne in termini di una riduzione dell’incidenza a partire dalla seconda metà degli anni Novanta».

ANTICIPARE. «Il primo farmaco immuno-oncologico – ipilimumab – è stato approvato dall’Ema nel 2011. Grazie alla svolta dell’immunoterapia, per il melanoma siamo passati da una sopravvivenza a 5 anni inferiore al 2% all’85% di oggi» spiega la professoressa Queirolo. «Il trattamento immunoterapico è standard di cura nelle fasi avanzate e metastatiche: la sfida ora è quella di anticiparlo nei pazienti in fase III e IV in cui il tumore è stato completamente resecato chirurgicamente, prima che la metastasi compaia».

I pazienti eleggibili a questa immunoterapia neoadiuvante, terapia precauzionale per evitare una recidiva o la ricomparsa della malattia, sono proprio quelli ad alto rischio di recidiva, circa mille italiani ogni anno. In questi pazienti, il nivolumab, anticorpo anti PD1 e primo farmaco a ricevere l’approvazione europea come adiuvante, «determina un miglioramento dei tassi di sopravvivenza libera da recidiva: a 24 mesi, il 63% dei pazienti non ha avuto ricadute» spiega Michele Del Vecchio responsabile dell’oncologia medica melanomi dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano, coordinatore per l’Italia dello studio checkMate-238: «Uno studio particolare, in cui il nivolumab è stato confrontato non con un placebo ma con un altro farmaco, ipilimumab, anticorpo anti-CTLA4, includendo anche pazienti in stadio molto avanzato, lo stadio IV. Ebbene, la sopravvivenza libera da recidiva a 3 anni è stata del 63% nei pazienti trattati con nivolumab contro il 50% nel braccio trattato con ipilimumab».

Rispetto alla terapia adiuvante in uso negli ultimi vent’anni, l’interferone, che riduce del 17% il rischio di ricaduta e del 9% il rischio morte, questo farmaco ha poi minor tossicità e meno effetti collaterali, oltre a venire somministrato per non più di un anno. «L’opportunità di somministrare l’immunoterapia in fase precoce rispetto a un tempo – concludono Paola Queirolo e Pietro Quaglino – rende ancora più necessaria la collaborazione tra specialisti dermatologi, chirurghi, oncologi e anche anatomo-patologi».