FABIO DI TODARO
Il ventaglio di offerte, nel tempo, è cresciuto. Non evidentemente però pure la qualità dei pasti, se nei fast-food oggi si consuma cibi di qualità più scadente rispetto a trent’anni fa. L’indicazione – riguardante esclusivamente gli Stati Uniti, da cui la moda di consumare hamburger, patatine, bibite gassate, frappè e gelati s’è poi diffusa in tutto il mondo – giunge da una ricerca pubblicata sul «Journal of the Academy of Nutrition and Dietetics». Gli autori, della Boston University, hanno passato in rassegna i menù registrati in dieci fast-food d’Oltreoceano nel 1986, nel 1991 e nel 2016. Risultato? Le porzioni di antipasti, contorni e dessert sono aumentate e, di conseguenza, pure le chilocalorie e il sale contenuto in ogni piatto.
I ricercatori sono giunti a queste conclusioni dopo aver passato in rassegna i dati raccolti dalla «The Fast Food Guide», un archivio digitale contenente le informazioni dei dieci fast-food più popolari negli Stati Uniti. Numeri alla mano, in 30 anni, la quantità media degli antipasti è aumentata di 39 grammi, 90 calorie e contiene il 13,8 per cento di sale in più. Stesso trend per il contorno classico, le patatine, con 42 calorie e il 12 per cento di sale in più. Maggiormente risulta peggiorato il profilo nutrizionale dei dolci: porzioni aumentate di 72 grammi, con un’aggiunta di 186 chilocalorie. Nel contempo, precisano i ricercatori, la varietà dei piatti nei menù è aumentata del 226 per cento, ma questo non vuol dire che le nuove alternative siano sempre più salutari: anzi. Ciò che sembra migliorato è soltanto l’apporto di calcio e ferro, in antipasti e dessert. Un aspetto positivo, sebbene ci siano comunque altre fonti alimentari per poter assumere gli stessi micronutrienti.
Lo studio offre dunque alcuni spunti su come il cibo dei fast-food – consumato da un americano su due almeno una volta al giorno, secondo gli ultimi dati forniti dai «Centers for Disease, Control and Prevention» – contribuisca ad aggravare i problemi di salute cronici più costosi e letali negli Stati Uniti, tra cui l’obesità e le malattie cardiovascolari. «Alcune di queste catene sono più sane di altre, ma le calorie, le porzioni e il contenuto di sodio nel complesso sono peggiorati nel tempo e rimangono a livelli elevati», afferma Megan A. McCrory, ricercatrice dell’Università di Boston e co-autrice della ricerca. «Abbiamo bisogno di trovare strategie migliori per aiutare le persone a consumare meno calorie e sodio nei ristoranti fast-food».
Tra le possibili soluzioni, la ricerca suggerisce l’offerta di menù in quantità più ridotte e l’indicazione più chiara delle calorie per ogni piatto. Un recente rapporto del Censis ha rivelato che in Italia – dove un italiano su tre è in sovrappeso, uno su dieci addirittura obeso – quasi due milioni di persone seguono cattive abitudini alimentari e si definiscono «junk food lover».