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CONFERMATA LA CONDANNA DI UN PARCHEGGIATORE ABUSIVO PER TENTATA ESTORSIONE

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Si aggrava la posizione di un parcheggiatore abusivo, che ha preso di mira una donna, rea di avere posteggiato la vettura senza pagare. Impossibile, secondo i giudici, parlare di mera violenza privata. Necessario un nuovo processo d’Appello, centrato sull’accusa di tentata estorsione.

“O mi paghi o sposti la macchina!”. L’ultimatum all’automobilista – che coraggiosamente si rifiuta di pagare e lascia lì la vettura in sosta – può valere una condanna per il parcheggiatore abusivo, ritenuto responsabile di una tentata estorsione in piena regola (Corte di Cassazione, sentenza n. 16030/20, depositata il 27 maggio).

 

Scenario della vicenda è l’aeroporto di Catania. Lì una donna lascia regolarmente in sosta, come già in passato, la propria auto, rifiutando di dare qualche moneta al parcheggiatore abusivo. Quest’ultimo la prende malissimo, ribadisce con forza la richiesta di denaro e proponendo alla donna una sola alternativa: spostare l’automobile e consentirgli di far parcheggiare qualcheduno disposto a pagare.

L’episodio non si chiude però in strada, ma ha invece uno strascico giudiziario, col parcheggiatore sotto processo per tentata estorsione.

Per i giudici di primo grado la condotta tenuta dall’uomo è inequivocabile e vale una condanna. Per i giudici di secondo grado, invece, i fatti vanno ridimensionati, e il parcheggiatore abusivo va punito con soli tre mesi di reclusione per tentata violenza privata. Ciò perché egli ha solo cercato di «ottenere lo spostamento dell’auto senza alcun ingiusto profitto».

A contestare la lettura data in Appello provvede la Procura, chiedendo di qualificare il comportamento tenuto dal parcheggiatore abusivo coma una tentata estorsione.

Per la Procura l’atteggiamento tenuto nei confronti dell’automobilista è inequivocabile: l’uomo ha rivolto alla donna, che aveva appena piazzato in sosta la propria vettura, «offesa precise, minacce dirette ad ottenere un ingiusto profitto, sia esso costituito dal pagamento dell’obolo ovvero dallo spostamento del mezzo in altra sede al fine di permettere il parcheggio ad altri per così ricavarne analoghi guadagni illeciti».

La visione proposta dalla Procura convince i Giudici della Cassazione. Questi ultimi in premessa ricordano che è «estorsione pretendere, con violenza o minaccia, il pagamento di un compenso per l’attività di parcheggiatore abusivo», e ciò perché «ove alla richiesta del pagamento di somme si accompagni anche la rappresentazione di un male futuro alle cose od alla persona, la pretesa è illegittima, trattandosi di posteggiatore non autorizzato, ma anche portata con gli illeciti mezzi della violenza e della minaccia».

Ebbene, in questo caso è acclarato che «la richiesta del parcheggiatore abusivo veniva formulata in relazione all’ingiusto profitto costituito dal lucrare un compenso non dovuto dalla commercializzazione di quel posto auto». E difatti anche in Appello, osservano i giudici della Cassazione, si è riconosciuto che il parcheggiatore abusivo «agiva perché spinto dalla volontà di lucrare vantaggi ingiusti tuttavia», con l’aggiunta, però, di un dettaglio fondamentale per i giudici di secondo grado, e cioè che «la richiesta formulata all’indirizzo della donna era destinata a non trovare riposta positiva per l’atteggiamento di resistenza della vittima che aveva anche in passato negato il pagamento richiesto in occasione di precedenti parcheggi in quell’area».

Questa circostanza, però, precisano i magistrati della Cassazione, non consente di ipotizzare il reato di tentata violenza privata, poiché l’uomo ha comunque agito «al fine di realizzare vantaggi patrimoniali dalla occupazione del posto, non ottenuti per ragioni indipendenti dalla sua condotta». Di conseguenza, deve parlarsi di «estorsione tentata, essendo stati compiuti atti diretti ad ottenere un ingiusto vantaggio patrimoniale cui non seguiva il danno ingiusto a causa della condotta oppositiva della persona offesa».

Erronea, quindi, la valutazione compiuta in Appello, laddove si è ritenuto che «l’uomo mirasse soltanto ad ottenere lo spostamento dell’auto senza alcun ingiusto profitto», mentre invece, osservano i giudici della Cassazione, «egli, stabilmente dedito all’attività di parcheggiatore abusivo nella zona aeroportuale di Catania, agiva al fine di lucrare da quel preciso posto auto del parcheggio il versamento di somme a lui non dovute, sicché la rappresentazione di eventi anche nefasti all’indirizzo della vittima e della sua autovettura integra certamente la minaccia costitutiva del delitto di estorsione in quanto rappresentata al fine di ottenere vantaggi economici assolutamente non dovuti».

Questa lettura rende più delicata la posizione dell’uomo, che dovrà subire un nuovo processo d’Appello, affrontando la più grave accusa di «tentata estorsione» ai danni dell’automobilista.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it