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AL SUD IL COVID BRUCERÀ IL DOPPIO DEI POSTI DEL CENTRO NORD

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Nel 2020 un milione di occupati in meno: 380 mila nel Mezzogiorno e 600 mila nelle altre regioni.  Grazie agli interventi del governo erogati in media 1.344 euro procapite al Nord (dove la crisi è più grave) e 1.015 al Sud 

PAOLO BARONI

ROMA. Un milione di posti di lavoro in meno nel 2020: il Covid distruggerà infatti 600 mila posti al Centro Nord e 380 mila al Sud, che in proporzione subirà l’impatto maggiore della crisi e dove l’anno prossimo la crescita sarà dimezzata.

 

Le previsioni

Lo choc da coronavirus, secondo l’ultimo studio della Svimez, la società per lo sviluppo del Mezzogiorno, ha colpito un Mezzogiorno già in recessione, prima ancora di aver recuperato i livelli pre-crisi 2008 di prodotto e occupazione. Nel 2020 è prevista una caduta del Pil dell’8,2% nel Mezzogiorno e del 9,6% nel Centro-Nord (Italia: -9,3%). Il calo è più accentuato al Centro-Nord risentendo in misura maggiore del blocco produttivo imposto per contenere la diffusione della pandemia e per due ordini di motivi aggiuntivi. In primo luogo, prima ancora della sua diffusione in Italia, la pandemia ha determinato una caduta del commercio mondiale di entità non dissimile, in base alle informazioni attualmente disponibili, da quella del 2009. Nel 2020, le esportazioni di merci dovrebbero contrarsi, rispettivamente, del 15,6 e del 13,7% per cento nel Sud e nel Centro-Nord. In quest’ultima area esse pesano, però, per quasi il 30% sul Pil, rispetto a meno del 10 in quelle meridionali. L’altro elemento che influisce, in negativo, sul risultato di prodotto del Centro-Nord è da ravvisarsi nell’atteso crollo della spesa turistica, con particolare riguardo agli stranieri.

Redditi e consumi delle famiglie

La caduta del reddito disponibile delle famiglie consumatrici nel 2020 appare essere la più ampia mai riscontrata dalla metà degli anni ’90 (-4,1% nel Centro-Nord e -3,3% nel Sud) per effetto, innanzitutto, della forte contrazione attesa nel volume di occupazione. La minore caduta osservata nel reddito disponibile meridionale è in parte da attribuire alla spinta di segno opposto delle prestazioni sociali, caratterizzata da un peso comparativamente maggiore, componente nella quale confluiscono gran parte delle misure di sostegno al reddito implementate dalla politica nazionale. L’effetto congiunto del blocco produttivo, della perdita di reddito e di comportamenti di spesa fortemente prudenziali trova riflesso in una contrazione consistente dei consumi delle famiglie: – 9,1% al Sud e -10,5 al Centro-Nord. Una contrazione, questa, solo parzialmente controbilanciata 3 dalla spesa dell’operatore pubblico (+1,9% nelle regioni meridionali e +1,3% in quelle centrosettentrionali). All’interno della spesa delle famiglie, in entrambe le macroaree i cali maggiori sono previsti per la spesa in servizi e, di seguito, per quella in beni durevoli.

L’emergenza lavoro

La Svimez stima che il calo dell’occupazione nel 2020 dovrebbe attestarsi intorno al 3,5% nel Centro-Nord (circa 600mila occupati) ed intorno al 6% nel Mezzogiorno (circa 380mila occupati). Per il Mezzogiorno si tratta di un impatto che per intensità è paragonabile a quello subito nel quinquennio 2009-2013. La ripresa dell’occupazione nel 2021 si attesterebbe al +2,2% a livello nazionale per effetto di una crescita dell’1,3% nel Mezzogiorno e del 2,5% nel Centro-Nord. Per effetto di tali andamenti l’occupazione meridionale scenderebbe intorno ai 5,8 milioni, su livelli inferiori a quelli raggiunti nel 2014 al culmine della doppia fase recessiva. Il tasso di occupazione scenderebbe di circa 2 punti percentuali e mezzo al 42,2% per risalire di un punto nel 2021. Un così forte impatto si spiega con la grande pervasività settoriale della crisi occupazionale seguita allo shock da Covid-19.

La crisi del 2008-2009 ha avuto effetti occupazionali “selettivi”, colpendo soprattutto manifatturiero e costruzioni e lasciando ai servizi il ruolo di assorbire, sia pure parzialmente e con effetti di peggioramento della qualità del lavoro, la forza lavoro espulsa dai comparti produttivi più colpiti. L’effetto congiunto di domanda e offerta dello shock da Covid-19, viceversa, ha colpito anche molte attività del terziario ben presenti nelle specializzazioni produttive del Sud. E oggi, per di più, la crisi incrocia un mercato del lavoro ancor più fragile e frammentato di quello interessato dalla grande recessione. Da allora, la struttura settoriale e produttiva delle regioni meridionali ha visto crescere il peso del lavoro irregolare, dell’occupazione precaria e del lavoro autonomo.

Il sostegno pubblico

Le previsioni della Svimez tengono conto del contributo significativo delle misure previste dai Dl “Cura Italia”, “Liquidità”, “Rilancio” che hanno contributo a contenere la caduta del Pil. Si è trattato di una reazione della politica fiscale a sostegno dell’economia mai sperimentata nella storia repubblicana del nostro Paese. Con un intervento complessivo in deficit di oltre 75 miliardi di euro, pari al 4,5% del Pil, il Governo, diversamente da quanto accadde durante la crisi del 2008, è riuscito ad arginare la caduta del prodotto che, diversamente, sarebbe stata di portata ampiamente superiore. Senza considerare gli effetti dei provvedimenti che hanno immesso liquidità e concesso garanzie alle imprese, la cui dimensione non è affatto trascurabile, il contributo delle manovre (Dl Cura Italia e Dl Rilancio) alla crescita del Pil nel 2020 è stato di oltre 2 punti percentuali.

Il sostegno all’economia è stato maggiore nel Mezzogiorno, dove sono stati destinati circa il 30% degli interventi, con un contributo alla crescita (o, messa in altri termini, con una minor caduta) del Pil di 2,8 punti percentuali, mentre al Centro-Nord, beneficiario di circa il 70% delle misure di sostegno, il contributo alla crescita (il minor crollo) del Pil determinato dall’intervento pubblico è stato del 2,1%. Per quanto molte misure hanno  previsto un’erogazione uniforme su base pro-capite, la presenza di diversi interventi legati alla dimensione delle perdite subite sposta l’intensità del beneficio in pro-capite a favore delle popolazioni del Centro-Nord. Mediamente, la somma degli interventi varati per fronteggiare il Covid-19 ha generato un beneficio pro-capite di 1344 euro al Centro-Nord, contro un valore pro-capite che nel Mezzogiorno si ferma a 1015 euro per abitante.

Complessivamente, per il 2021 si può stimare che il contributo alla crescita del Pil fornito dalle misure già varate si attesti intorno allo 0,7% nel Centro-Nord e quasi all’1% nel Mezzogiorno. Un contributo che, se al Centro- 6 Nord vale poco più di 1/8 della crescita prevista, nel Mezzogiorno spiega quasi la metà del recupero stimato realizzarsi nel 2021.

Le previsioni

Le previsioni Svimez per il 2021 vedono un Mezzogiorno frenato da una ripresa «dimezzata»: +2,3% il Pil contro il 5,4% del Centro-Nord.  Si tratta di una previsione costruita sull’ipotesi di una sostanziale assenza di fenomeni legati alla pandemia analoghi a quelli sperimentati di recente, sia nel nostro Paese che altrove, spiegano i ricercatori della Svimez. Ma il forte differenziale tra le due macroaree durante la fase di ripresa è destinato a rimanere anche in presenza di scenari differenti in ragione dal fatto che i principali comparti dell’economia meridionale sono caratterizzati da un’elasticità del valore aggiunto alla domanda che, nelle fasi ascendenti del ciclo, è sistematicamente inferiore a quella delle regioni centrosettentrionali. È questo oramai un dato strutturale, che costituisce il lascito negativo della “lunga crisi” (2008-2014). La base produttiva meridionale non aveva ancora recuperato, all’insorgere della pandemia, i livelli antecedenti la «lunga crisi», specie nel comparto industriale e a differenza di quanto avvenuto nel Centro-Nord. Quantità e qualità delle imprese presenti nel territorio del Sud fanno sì che gli stimoli provenienti dal lato della domanda siano trasferiti all’offerta in misura relativamente minore.